Addio, Sweet Mister by Daniel Woodrell

Addio, Sweet Mister by Daniel Woodrell

autore:Daniel Woodrell [Woodrell, Daniel]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9791280284341
editore: NN
pubblicato: 2022-06-19T22:00:00+00:00


Arrivò il bel tempo, l’erba crebbe in fretta, e io ebbi del lavoro da fare. Per giorni e giorni continuò a splendere il sole e, con tutta l’acqua che le era stata rovesciata addosso dal temporale, l’erba del cimitero si alzava spumeggiante come la corona di una root beer. Il colore della schiuma dei campi, però, era un bel verde estivo.

Glenda mi aiutava, o perlomeno cercava di aiutarmi, nei modi che secondo lei potevano essermi utili. Raccoglieva rametti e li impilava. Regolava con le forbici i bordi del prato, nei punti in cui non arrivavo con il tosaerba: sforbiciava volenterosamente qua e là stando in ginocchio, canticchiando. Trovò tre monetine perse da qualcuno, per un valore totale di undici centesimi. Di tanto in tanto andava in casa a prendere qualcosa da bere.

A volte si perdeva nei suoi pensieri proprio in un punto in cui stavo per passare io col trattore, e dovevo gridarle di spostarsi.

«Glenda, posso farlo da solo».

«No, no, tesoro, voglio aiutarti».

«Ma io voglio fare le cose seguendo un certo ordine».

«Be’, un po’ di attività fisica non può che farmi bene. Voglio eliminare questa pancetta... la vedi?».

«Ma non hai nessuna pancetta!».

«Ne ho persa un po’ da quando ti do una mano. Lavorare con questo caldo rimette in linea. Tutto quell’accucciarsi e rialzarsi e chinarsi. Voglio tornare in gran forma».

In una di quelle giornate luminose venne sepolto uno dei malati che avevo derubato: l’adolescente con la pelle color nebbia e la testa quasi del tutto calva. Fu sepolto nella parte più vecchia del cimitero, in una grande tomba di famiglia le cui date risalivano a un secolo prima. Avevo vangato molte volte quella zona, dove cresceva la sanguinella. La lapide che gli misero sopra era di un marrone brillante, e culminava in una specie di ricciolo. Dalle date incise nella pietra risultava che il morto aveva quasi diciannove anni. La folla si estendeva in un cerchio compatto dalla tomba dell’adolescente calvo fin sulla collina e nell’ombra proiettata da una fila di pini. Le folle che partecipavano ai funerali emanavano sempre gli aromi preferiti dalle vecchie signore, a base di fiori sofisticati, a cui si aggiungeva il profumo dei molti mazzi di fiori adatti alla circostanza che le persone tenevano in mano fino al momento di deporli sul mucchio di terra appena smossa. Mentre venivano deposti i fiori, qualcuno cantò una di quelle canzoni che si sentono in chiesa, e che a me non andava di ascoltare.

«Vorrei che la piantassero con quella lagna».

«Ma è un gospel, Shug». Glenda fece uscire dal pacchetto un paio di sigarette e azionò l’accendino. La brezza fece piegare, sollevare, piegare, sollevare la fiammella. «Uno spiritual».

«Vorrei che stessero zitti».

«Oh, tesoro... non riesci a immaginare quel che provano seppellendo un ragazzo?».

Soffiai fuori una nuvoletta grigia che non arrivò molto più in là del mio naso.

«Glenda, quel ragazzo era uno degli ammalati a cui ho rubato le medicine».

Lei mi lanciò uno sguardo sbalordito, con la sigaretta in bocca; poi la sua faccia si accartocciò, per così dire, e dalla



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